In odontoiatria esistono comportamenti, come nel resto della medicina, che vanno contro i principi basilari a cui un medico deve rispondere, come ad esempio: “primo non nuocere”.

Quando si applica una terapia medica si dovrebbe sempre soppesare i vantaggi di questa terapia rispetto gli svantaggi della terapia stessa o addirittura della stessa malattia, ed in odontoiatria non si fa eccezione.

Purtroppo oggi come oggi, sia per ignoranza, sia per cosciente vantaggio, la classe medica si lascia spesso contagiare dal business e dimentica i sani principi che dovrebbero guidare ogni decisione. Tralascio le evidenze nella medicina in generale, che sono palesi e solo occhi che non vogliono vedere non vedono, e resto nel mio settore, l’apparato stomatognatico.

Alcuni giorni or sono ho visto un video che riportava il caso di una piccola carie che aggrediva un solco su un premolare. Potete vedere qui a sinistra la foto estratta da quel video. Come vedete si tratta di due piccole lesioni che occupano i due solchi. Queste tipo di lesioni vanno sondate bene con piccoli specilli per capire se sono attive o se hanno generato quel piccolo danno e poi si sono fermate. In questo caso vengono definite in gergo “carie secche” e svariati studi hanno dimostrato che spesso rimangono inalterate in questa forma per anni o anche per sempre oppure riprendono riattivandosi. In questo caso, facendo questa scelta di non intervenire, vanno tenute costantemente sotto controllo.

Il medico può però anche decidere di aprirle e curarle se ha degli scrupoli che il paziente, magari trascurandosi nelle visite ricorrenti, possa un domani avere un danno maggiore. Nessuno dei due comportamenti è criticabile, ne l’attesa, ne la decisione di intervenire.

Intervenire però significa rimuovere il tessuto danneggiato e poi chiudere con una otturazione. Il tessuto danneggiato si identifica attraverso la durezza del tessuto smalteo e dentinale ed attraverso il colore. Una volta rimosso il tessuto danneggiato, cioè quello che appare “molle” e quindi necrotico, si deve valutare attentamente il tessuto dentinale perchè talvolta appare macchiato, ma è un tessuto duro ed in realtà sano. Magari lo si isola con dell’idrossido di calcio, ma non va abbattuto.

Ecco, nel caso su rappresentato io avrei aperto singolarmente le due singole lesioni perchè il tessuto che intercorre fra le due appare evidentemente sano, ed abbatterlo significherebbe sacrificare tessuto importante della struttura dentale.

Il mio collega invece, già dalla prima apertura di cavità ha abbattuto il tessuto che stava fra le due lesioni, come si vede nella fotografia qua a destra. Potete osservare che aperte le cavità sul fondo si percepisce ancora del colore scuro. In questi casi con una piccola pallina su micromotore si va a rimuovere in maniera circostanziata quel tessuto che è danneggiato. Lo si fa cercando di non demolire inutilmente il tessuto circostante che appare invece assolutamente sano. Il mio collega ha agito diversamente e lo potete osservare in queste due foto qua sotto.

Il dentista si è allargato in maniera sproporzionata su ogni lato invece di cercare solo il tessuto danneggiato, che poi danneggiato non era più. Se osservate la foto sopra sulla sinistra noterete che il tessuto sul fondo è scuro, ma assolutamente compatto e una semplice verniciatura superficiale con un protettore sarebbe bastata ad isolarlo e proteggerlo. Da quel tessuto una carie secondaria non partirà mai. Invece no, al collega non è bastata nemmeno questa come apertura demolitiva, è andato oltre come potete vedere dalle foto qua sotto definite come prima e dopo.

PRIMA

Quello che mi domando è in base a quale scienza ha operato in questo modo? Ha preso un dente praticamente sano, che molti avrebbero messo sotto controllo attendendo ad aprire le lesioni, proprio per non fare più danno di quanto le stesse lesioni cariose avevano fatto, e l’ha demolito in ogni direzione ottenendo una cavità tale da aver reso il dente debole strutturalmente, e quindi a rischio di frattura. Inoltre essersi approfondito tanto determina avvicinarsi in maniera pericolosa alla parte vitale, la polpa, senza che ve ne fosse una ragione reale, con il rischio che ci possa essere una reazione pulpare un domani.

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DOPO

Questa non è etica, questo è danno fatto scientemente, con volontà di farlo e sicuramente per chiedere un onorario maggiore e sperare un domani in danni successivi, come magari una bella frattura di una parete. Questa non è medicina, questo non è un comportamento da medico.

Però ha usato la diga, che lo qualifica come “bravo”.

Io concludo qua, ma invito chi mi legge a pensare che se un singolo è capace di un gesto come questo immaginate cosa possa concepire un’industria in cui lavorano non dei medici, che almeno hanno giurato i loro principi base, ma gente che ha come scopo il solo business.

Questo è un esempio piccolo, banale, insignificante, ma rende benissimo l’idea, il concetto. Avete solo un modo per difendervi, smettere di perdere tempo con le sciocchezze e essere attenti e studiosi per capire se vi stanno manipolando a loro piacere o vi stanno curando.

Dott. Jacopo Cioni

Etica nella professione medica.
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