Tavoletta babilonese fatta risalire al 1800 a.C.

Nella storia il processo carioso esisteva come oggi. Nonostante si avessero cibi meno zuccherini e più “resistenti” alla masticazione, e quindi con azione detergente, il livello igienico era scarso e quindi un fattore positivo era annullato da un altro negativo.

Nell’epoca passata si credeva che la carie di un dente si determinasse a causa di vermi che, arrivati sui denti, cominciavano a rosicchiarli. Un verme roditore.

La leggenda nasceva perchè veniva raccontato che un verme che abitualmente viveva nel fango, dove soffriva la fame, avesse chiesto agli dei di cambiare luogo dove vivere, di dargli come nuova casa un posto tra i denti dell’uomo. Qui abbondavano i residui alimentari e lui non avrebbe più sofferto la fame. Gli dei gli concessero il permesso ed il verme raggiunta la sua nuova dimora cominciò a scavare cunicoli e caverne, dando vita a quella che oggi chiamiamo carie.

La diagnosi del tempo andato? La presenza di una carie da verme; e non aveva una corretta terapia, per ottenere la guarigione, si sperava in un miracolo, che ovviamente non si manifestava, se non con l’estrazione del dente o la sua completa distruzione. Per dovere di cronaca bisogna dire che nel corso del tempo qualche sorta di terapia fu sperimentata, come ad esempio porre in cavità dei granelli di sale e/o di pepe. Alcuni utilizzavano delle erbe velenose come il giusquiamo, o sostanze come l’arsenico. Qualcuno impiegava i chiodi di garofano, che non risolvevano il problema ma lenivano il dolore grazie all’olio di eugenolo. Dopo questa pseudo disinfezione i più progrediti usavano prodotti vari per “tappare” il buco, materiali tipo resine.

Paracelso sosteneva che un ascesso in bocca andava affrontato con filosofia: “quando il verme avrà completamente eroso il dente malato, allora morirà da solo, soffocherà infatti a contatto con l’aria e la saliva.

Plinio il Vecchio aveva una sua terapia che raccomandava sovente, e cioè diceva di curarsi con il bruco del cavolo o con un tarlo del legno che, opportunamente posizionato nella cavità del dente, determinava la caduta dello stesso.

Altri avevano teorie diverse, tipo Galeno il quale sosteneva che il dolore fosse determinato un alimentazione impropria che alterava l’organismo tanto da creare infiammazioni in bocca con conseguenti dolori fortissimi, cioè saltava proprio l’aspetto dente/carie.

Molto divertente fu la teoria del naturalista olandese Antoni van Leeuwenhoek. La sua deduzione derivò dall’osservazione di un dato oggettivo, ma che di reale non aveva nulla. La moglie dopo aver mangiato del formaggio muffato, tipo il gorgonzola, aveva avuto nei giorni successivi un fortissimo mal di denti. Il naturalista olandese associò quindi le muffe del formaggio alla presenza di piccoli vermi, quindi il verme dentale era in realtà il verme del formaggio che trovandosi in bocca attaccava i denti per crearsi una nuova dimora.

Fu nel 1728, con la pubblicazione di “Le Chirurgien dentiste” di Pierre Fauchard, che furono introdotte le prime basi scientifiche nell’osservazione del fenomeno carioso introducendo per la prima volta uno studio per come lo intendiamo oggi.

Nei secoli a venire la credenza del verme del dente era talmente radicata nell’immaginario collettivo che gli stessi medici, nonostante la chiarezza scientifica che nel tempo si orientò diversamente, continuavano a spiegare la carie attraverso questa diagnosi “vermosa”. Se ci pensate bene, ancora oggi il riferimento ad un ipotetico verme si sente citare, anche se in forma scherzosa. La mamma al bambino: “Lavati i denti o ti vengono i vermi ai denti e ti fanno i buchi“.

Dott. Jacopo Cioni
Il verme della carie
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